LA RESIDENZA 

23 Luglio 2025

Sono tornata Sabato da Barcellona, ci sono stata un mesetto, ma solo negli ultimi venti giorni ho preso i miei cinque sensi, li ho appoggiati nello studio di Paula Bonet (artista valenciana), e li ho visti moltiplicarsi per cento, mille, centomila.

La situazione era ben strutturata: sette artiste, tempo, un accesso illimitato a tutti gli strumenti di espressione grafica possibile, alla fine del percorso, un’esposizione.

Oltre allo spazio avevamo a disposizione le parole di tre scrittrici: Marta Orriols, María del Mar García Puig e Annamaria Iglesias.

Con loro ci siamo spese in meravigliosi pranzi, abbiamo tessuto pensieri che partivano dal lato destro della stanza e arrivavo al sinistro facendo il giro di tutte le voci possibili. 

Il loro compito era quello di nutrirci con porzioni abbondanti di racconti, di ridare volume a quelle artiste rimaste schiacciate dallo sguardo di chi ha guidato la corsa della cultura mondiale degli ultimi trecento anni. Il simposio, in quei giorni a quel tavolo, è stato femmina.

Ci siamo immerse tra le immagini del film della regista Irene Borrego sulla zia “maledetta” Isabel Santaló. Isabel era una pittrice, prima donna ad affermarsi nell’arte d’avanguardia spagnola. Isabel finisce dimenticata dopo aver esposto in buona parte del mondo e aver vinto numerosi premi. Unica donna della sua epoca esposta al museo del Prado. Fin qua tutto già visto, ma a questo punto la storia fa un’ulteriore piroetta, Isabel viene accompagnata all’oblio , anche della famiglia, la sua arte, inseparabile dalla sua persona viene traslocata altrove, lontano, nell’oscurità, dove notoriamente vivono e crescono i mostri. 

Per anni nemmeno la nipote seppe niente di lei, Isabel era solo la zia dal brutto carattere che “disegnava”, quella seduta sul gradino più basso della fortuna, l’orizzonte d’arrivo dei peggiori incubi.

Ma la storia è permalosa e si prende le sue rivincite. Da grande Irene decide di mollare la carriera giuridica per dedicarsi all’arte. Con coraggio lo comunica alla famiglia consapevole del sisma interno che ne sarebbe seguito. I genitori si oppongono, ma difronte a tanta determinazione, impotenti, chiosano senza guardarla negli occhi con una frase: “Serás como tu tía Isabel” (sarai come tua zia Isabel). 

Queste parole si trasformeranno nel filo indispensabile per sbrogliare una matassa di non detti, Irene decide di conoscere sua zia, all’inizio per assicurarsi di essere sufficientemente diversa da lei, poi per vendicare una rabbia che capisce essere anche la sua: quella di non essere viste per quello che si è. Le due si incontrano, si annusano, si riconoscono.

Sulla pelle di Isabel si sono giocate tutte le sovrastrutture che molte di noi hanno vissuto. 

Intrise di aspettative su chi e come dovremmo essere, ingoiamo rabbia quando va bene, facciamo nostre queste aspettative quando va male. 

Il film che ne è uscito si intitola “ La Visita y Un Jardín secreto “, non racconta l’opera di una grande artista dimenticata, piuttosto è la mappa dei segni lasciati sui nostri corpi ogni volta che agiamo la libertà d’essere chi siamo. Il prezzo è ancora alto.

Il penultimo giorno di residenza Irene Borrego ci ha raggiunte, in silenzio ha osservato il nostro lavoro. Insieme abbiamo pianto. C’era un’unica grande assente ma presente: Isabel.

Io e le altre ci siamo ritrovate a condividere storie che sono sempre le stesse, nel raccontarle l’unica cosa a cambiare erano gli accenti, abbiamo indossato i nostri mostri e ci siamo ritratte a vicenda sicure di essere uno spazio sicuro l’una per l’altra. Abbiamo risignificato l’identità mostruosa che ci viene affidata quando liberiamo desideri e paure.

Solo noi possiamo alimentare la nostra voce, e sempre solo noi possiamo creare una nuova memoria collettiva da tramandare alle donne che saranno, un racconto reale di passioni, voglie, profili ripuliti da modelli in equilibrio precario. Non abbiamo il tempo di meritarci lo spazio, è nostro compito crearlo, un segno alla volta.

Una parola alla volta.

Che la Santa Rabbia sia con te.

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